From Italy to Lybia? Il caso dei droni armati a Sigonella


Qualche giorno fa, il Wall Street Journal ha rivelato come da circa un mese governo italiano abbia autorizzato il decollo di droni armati statunitensi dalla base di Sigonella, in Sicilia, per permettere operazioni militari in Nord Africa. Fino al mese scorso infatti, questi droni sembravano utilizzati solo per sorveglianza aerea. I commenti di queste ore parlano del conseguente intervento in Libia auspicato dagli Usa e dissimulato dal Governo italiano: una decisione che non è un preludio di un intervento militare, secondo il ministro Gentiloni. Ne abbiamo parlato con Antonio Mazzeo, giornalista ed esperto di geopolitica militare.

Questa notizia è strettamente legata alla questione libica?

Ci troviamo di fronte ad un’escalation inarrestabile: questo tentativo di intervento in Libia, prima con i bombardamenti, poi con un intervento via terra è programmato da oltre un anno ed è all'ordine del giorno in ambito Nato e nella Conferenza dei paesi arabi. A meno che non ci sia da parte delle Nazioni Unite un tentativo diverso, penso che si andrà molto probabilmente verso un secondo conflitto in Libia. In questo quadro geostrategico la Sicilia e la base di Sigonella, che ormai è una capitale mondiale degli aerei senza pilota, assumerà un ruolo determinante. Però non è una notizia nuova: già nella 2011, nella prima grande guerra scatenata contro la Libia di Gheddafi, da Sigonella partirono non soltanto i droni di intelligence Global Hawke che operano in questa base da una decina di anni, ma soprattutto i droni killer Predator e Reaper. Nel 2013 fu presentato un rapporto al Parlamento da alcuni studi di ricerca che evidenziarono come un accordo bilaterale tra Italia e Stati Uniti per dislocare aerei killer stabilmente nella base di Sigonella era stato firmato nella primavera del 2013, quindi già da 3 anni questi sistemi operano dalla Sicilia e sappiamo di interventi sia in Nord Africa sia in Niger, in Mali o in Somalia.

Gentiloni ha detto che non sarà il preludio ad un intervento in Libia. Che ne pensa?

Stiamo parlando di droni killer, dunque con una funzione strategica di first strike: servono ad annientare gli obiettivi militari (ma spesso colpiscono anche quelli civili) impedendo qualsiasi tipo di risposta. Nelle logiche di guerra, a partire dalla prima guerra del Golfo (ma anche nei Balcani, in Afghanistan, in Iraq o in Libia) prima di un intervento di terra e di un’eventuale occupazione da parte delle forze armate, c’è bisogno di un intervento massiccio di bombardamenti che distruggano le infrastrutture. Tentare di edulcorare la pillola come sta facendo il Governo italiano mi sembra una mistificazione. Un commento sulla questione del “di volta in volta” di Renzi: 30 anni fa, con la vicenda di Sigonella sul fatto dell’uso della parte americana della base per operazioni di pirateria internazionale che scatenò un momento di grande conflitto tra l’Italia e gli Usa, si pose il problema. Quando una forza armata straniera utilizza le infrastrutture italiane a uso proprio non ci sono strumenti diplomatici né tecnici per impedire un uso che sia contrario alle visioni politiche e agli interessi geostrategici del nostro paese. Tornando alla questione costituzionale, il problema dovrebbe portare a una discussione sulla presenza di basi straniere nel nostro paese, che non possono essere giustificate con il trattato Nato, che era un trattato di mutua sicurezza.

Come tocca l’articolo 11 della Costituzione?

I costituzionalisti pongono il problema sulle questioni relative alla difesa, soprattutto quando si concede l'uso del territorio a una potenza straniera per operazioni portate avanti unilateralmente, quindi fuori da accordi bilaterali o multilaterali come la Nato. Vorrei ricordare che la base di Sigonella, come Camp Derby vicino Livorno o la base stessa di Vicenza sono classificate basi Usa, date in concessione alle forze armate statunitensi fuori da una possibilità di valutazione geopolitica in ambito Nato. Ciò avrebbe richiesto per lo meno un passaggio parlamentare: alcuni costituzionalisti hanno posto il problema sia per strumenti di comunicazione, come il Muos, sia per esempio per la presenza di testate nucleari nella base di Aviano e di Ghedi che sicuramente violano il dettato costituzionale e la firma italiana all'accordo internazionale di non proliferazione nucleare.

Come pongono l’Italia nel quadro del terrorismo globale queste decisioni?

Non dobbiamo dimenticare che l’Italia negli anni ‘70 e ‘80 ebbe un ruolo determinante come ponte di dialogo tra l’Occidente e il mondo arabo: questo ha consentito per moltissimi anni di tenere fuori l’Italia da veri e propri attentati terroristici quando organizzazioni radicali del mondo arabo erano invece presenti in altre parti d’Europa e agivano profondamente colpendo la sicurezza e l’ordine pubblico. Questa situazione è cambiata, l’Italia ha fatto una scelta di campo, a mio parere disastrosa, fornendo la piattaforma per operazioni militari di altri, perdendo un ruolo che sarebbe stato importante per l’Ue per tentare il dialogo e proporsi come ponte di confronto e pace, determinando un'inversione di tendenza che va verso la guerra totale e globale che si sta preparando sotto i nostri occhi. Un’occasione persa che sovraespone milioni di persone, soprattutto quei cittadini che vivono accanto alle basi strategiche. Purtroppo chi di spada ferisce, non può che aspettare di perire di spada”.

 
Intervista a cura di Matteo De Fazio, pubblicata in Riforma.it, quotidiano on-line delle Chiese Evangeliche Battiste, Metodiste e Valdesi, il 24 febbraio 2016, http://riforma.it/it/articolo/2016/02/24/italy-lybia-il-caso-dei-droni-armati-sigonella

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