No Muos, come i giovani dell’82 contro i missili a Comiso


“Portate i vostri figli a Niscemi, al campo No MUOS, perché lì si respira quello che Paolo Borsellino definiva il Fresco Profumo di Libertà che si oppone al puzzo del compromesso”. Lo chiede l’Associazione antimafie “Rita Atria”: contro il MUOS e la base Usa, ancora una volta come trent’anni fa contro i missili nucleari Cruise a Comiso, il popolo siciliano scende in lotta contro la tragica alleanza tra le mafie e la militarizzazione.

Sì, quei ragazzi di Niscemi sono simili a quelli che dal 1982 all’84 diedero vita al Campo internazionale per la pace e all’IMAC di Comiso. Solo che allora i “nativi” si contavano sulla punta delle dita, mentre a dar vita ad azioni dirette e blocchi alla base dell’apocalisse atomica c’erano messinesi, catanesi, palermitani, veneti, lombardi, tedeschi, inglesi e perfino qualche giapponese. Stagione intensa di speranze, piccole vittorie e storiche sconfitte, segnata dal piombo politico-mafioso contro il segretario Pci Pio la Torre e il giornalista Pippo Fava de I Siciliani, innamorati entrambi della lotta contro i Cruise e di quei giovani di Comiso. 

La Sicilia piattaforma di guerre e missioni di morte, un’infinità di basi disseminate nell’isola. Cacciabombardieri, antenne e velivoli radar, sommergibili e portaerei a capacità e propulsione nucleare, adesso perfino i famigerati droni per spiare e colpire a distanza, uccidere senza rischiare di essere uccisi, l’estrema automatizzazione e disumanizzazione della guerra. Un trentennio di cortei, sit-in, catene umane, obiezioni e disobbedienze civili, da Comiso ad Augusta, da Sigonella a Trapani Birgi. Migliaia di firme per dichiarare i territori “denuclearizzati”, tra le prime in tutta Italia la città di Vittoria, poi perfino la provincia di Messina. Le mobilitazioni degli allevatori e dei coltivatori dei Nebrodi, che a metà anni ’80 impedirono ai militari di riconvertire 23.000 ettari di boschi, tra Caronia, Mistretta e Castel di Lucio, nel più esteso poligono di tiro nazionale.

Una vocazione antimilitarista antica, quasi congenita tra tanti siciliani. Le diserzioni di migliaia di braccianti ai sequestri dell’esercito post-unitario che chiedeva carne da cannone per le campagne d’oltremare. Poi, nel ragusano, le rivolte dei Non si parte, dopo lo sbarco degli Alleati, tra il ’43 e il ’44, mogli e madri a impedire che si portassero via gli uomini per la guerra al Nord, dopo i bombardamenti e gli stenti della guerra a Sud. E la renitenza alla leva forzata dei giovani della valle del Belìce, per non essere sradicati dalla ricostruzione collettiva dei paesi investiti dalla furia del terremoto del gennaio ’68. Una protesta che sconcertò tutti i partiti ma che impose al governo l’esonero per tutti loro dalle forze armate e, qualche anno dopo, il varo della legge sull’obiezione di coscienza e il servizio civile. Pezzi di storia, forse dimenticati, di una Sicilia che con i No MUOS torna a sognare il Ponte di pace tra i popoli del Mediterraneo.
Articolo pubblicato in Centonove, anno XX n. 2, 18 gennaio 2013

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