Da Comiso a Niscemi generazioni di pace


Ieri contro i missili, oggi contro il Muos. Chi l’ha detto che i giovani non s'’impegnano più? La folla colorata e pacifica di Niscemi, i comitati che sorgono dappertutto, sono un segnale preciso. Che i politici ignorano

 

Come ritrovarsi a vent’anni. Con le stesse energie, l’ingenuità di ritenere il mondo diviso in buoni e cattivi, noi i buoni, loro i cattivi. Con il sorriso dipinto nel volto, gli occhi luminosi. E belli. I colori, poi, sono ancora gli stessi. L’azzurro del cielo siciliano in ottobre e le campagne che dopo l’arida estate tornano a macchiarsi di verde. E quelli dell’iride, il ponte della rinnovata alleanza tra l’Uomo e l’Eterno. La natura. La speranza di pace. Noi che abbiamo ormai i capelli grigi abbiamo sentito di rivivere l’ansia, le gioie, l’allegria festosa di quando circondavamo con i nostri corpi il filo spinato di quella che sarebbe diventata la base della morte atomica, a Comiso, trent’anni fa. Stavolta però siamo a Niscemi, nel cuore dell’ultima sughereta di Sicilia. A destra le querce plurisecolari, a sinistra la selva di antenne di una delle stazioni di telecomunicazioni militari più grandi del mondo.

Sabato 6 ottobre, alla prima manifestazione nazionale contro l’Eco MUOStro che - nelle intenzioni di Washington - dovrà condurre sciami di droni ad invadere e disseminare il lutto nel pianeta, abbiamo ritrovato l’Altra Sicilia, quella che non vedevamo dalle lunghe marce contro i missili Cruise e i tragici cortei dopo l’attacco allo Stato da parte dello Stato con le bombe e gli artificieri di Cosa nostra e dell’eversione neofascista. Quella Sicilia che non ha diritto di cittadinanza nei consigli comunali e alla Regione ma che non si china al passaggio del potente. Quella Sicilia che ripudia le armi e la guerra, s’indigna per le carcerazioni e gli abusi sui migranti e i richiedenti asilo, che difende i territori dai saccheggi, le colate di cemento, le perforazioni. Giovani e studenti, i disoccupati e i precari per tutte le stagioni, i cassintegrati di Termini Imerese, quelli che nelle campagne e nelle serre la cassa integrazione non la vedranno mai. Le madri, le bambine, tantissime donne ed essere donna in Sicilia è due volte più duro che esserlo altrove. Il popolo dei No Muos incarna l’utopia dell’esserci e contare, del non delegare diritti e speranze. Un popolo che ringrazia quei magistrati in prima linea per la verità sulle Stragi e la Trattativa e quelli che han sfidato lo Zio Sam, mettendogli in catene a Niscemi la mostruosa creatura generatrice dell’apocalisse. Ma che sa bene che contro la Mafia e il MUOS non si vince nelle aule giudiziarie, perché è lotta politica, di piazza, nei quartieri, un confronto-scontro sociale. Un conflitto che deve essere per il cambiamento e la trasformazione delle relazioni umane e sociali, per la giustizia economica in difesa dei Beni Comuni, per l’affermazione dell’uguaglianza e la promozione dei diritti.

Oggi siamo più maturi di trent’anni fa, quando ritenevamo impossibili nuove guerre e ci nutrivamo dei miti del Progresso e della mobilità sociale. Sappiamo che la riconversione a uso collettivo delle basi di guerra non è un assunto etico ma è la scelta obbligata per assicurare la sopravvivenza a figli e nipoti. Bandire le armi è l’ultima opzione per garantirci pane e lavoro. Opporci al MUOS è riprenderci la Vita. Di fronte al muro di gomma e falsità innalzato dagli strateghi del Pentagono e dai servi sciocchi dei Monti boys, forse saremo costretti a distenderci supini sulle viuzze di contrada Ulmo e rendere inagibile e inoperativa l’enorme ordigno elettromagnetico made in U.S.A. che avvelena da oltre vent’anni i figli della terra di Niscemi. Dovremo assumerci le nostre responsabilità sino all’ultimo. Rischiando di offrire le nostre persone alla cieca e ottusa repressione dei corpi dello Stato. Ma è in gioco il senso stesso della storia umana, con le sue mille contraddizioni ma con il suo valore unico, supremo. Dovremo provarci. Insieme. In quest’ultimo autunno senza il MUOS e i suoi satelliti nello spazio.                   

 
Articolo pubblicato in I Siciliani giovani, n. 9, ottobre 2012.

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