Predator USA contro i pirati della Somalia

Le forze armate statunitensi hanno schierato nel Golfo di Aden i micidiali velivoli senza pilota “Predator” per dare la caccia ai pirati somali. Il comando della nuova flotta navale “Combined Task Force CTF-151”, attivata dal Pentagono nelle acque del Corno d’Africa, ha reso noto che un aereo UAV (Unmanned Aerial Vehicle) è stato trasferito a bordo del cacciatorpediniere lanciamissili USS Mahan, “per contribuire alla sorveglianza marittima e segnalare ogni azione sospetta, rendendo così sempre più efficaci le missioni anti-pirateria”.

“Ciò rappresenta un significativo passo in avanti e riflette la crescita nell’uso dei velivoli senza pilota in tutto lo spettro delle operazioni militari”, ha spiegato il comandante della USS Mahan, Steve Murphy. “Il Predator - ha aggiunto – è un aereo versatile e di pronta risposta, in grado di modificare in volo aree operative e missioni. Può volare segretamente di giorno o di notte e renderà sempre più difficile ai pirati di nascondersi. Le immagini e le informazioni che otterremo ci permetteranno di velocizzare i nostri processi decisionali, assicurandoci un significativo vantaggio tattico nell’azione contro la pirateria”.
 
Le caratteristiche tecniche del Predator sono lodate da strateghi e aziende produttrici: il velivolo gode di un’autonomia di volo di 40 ore e può volare sino ad un’altezza di 9.000 metri sul livello del mare. Grazie ai sensori ottici e ai sistemi radar di bordo può individuare e fotografare qualsiasi target anche in condizioni di intensa nuvolosità. Ma più che un aereo spia o “d’intelligence”, il Predator, è una vera arma letale da first strike, in grado d’individuare, inseguire ed eliminare l’obiettivo con estrema precisione.
 
Il velivolo senza pilota è dotato di missili aria-terra AGM-114 Helfire, i quali hanno già causato centinaia di morti nei più recenti teatri di guerra. I primi UAV da combattimento sono stati installati nel novembre 2001 in alcune basi USA in Pakistan ed Uzbekistan per eseguire, in Afghanistan, “omicidi selettivi” di presunti leader di al-Qaeda. L’anno successivo, i velivoli Predator sono stati utilizzati dall’US Air Force per assassinare alcuni militanti radicali islamici che si erano rifugiati in Yemen. L’ultima azione di guerra risale a meno di una decina di giorni fa e ha causato un vero e proprio massacro. Il 23 gennaio, tre giorni dopo l’insediamento come presidente degli States di Obama Barack, due missili lanciati da un Predator hanno ucciso in Pakistan diciassette civili. Secondo la rete televisiva CNN, solo nel 2008 gli attacchi missilistici effettuati da questi aerei nel paese islamico, sarebbero stati una trentina.
 
Oltre ai Predator, la flotta navale USA anti-pirati ha a disposizione una lunga serie di sofisticati strumenti di morte. Il cacciatorpediniere USS Mahan è dotato dei missili da crociera “Tomahawk” (la versione navale dei Cruise che furono installati a Comiso negli anni ’80) e dei missili anti-nave MK 41. Ci sono poi cannoni, mitragliatori e siluri Mk 32. L’ammiraglia della CTF 151, la nave anfibia San Antonio (LPD 17), ospita tre elicotteri HH-60H “Seahawk” per la guerra navale e antisottomarina, inviati dalla portaerei nucleare USS Theodore Roosvelt, di stanza nel Golfo Persico. L’equipaggio della San Antonio è costituito da personale proveniente dai reparti specializzati di US Navy, Coast Guard e Marine Corps. Tra questi spiccano i cecchini del 26th Marine Expeditionary Unit (MEU), in possesso di fucili ad altissima precisione come l’Mk-11, capaci di colpire un bersaglio distante 1,000 yards (circa 915 metri) e quelli calibro 50 che possono raggiungere le 1,800 yards.
 
Che il Pentagono stia pianificando in ogni dettaglio un possibile attacco in Corno d’Africa trova conferma da quanto trapelato a Washington. Il quartier generale del Comando congiunto delle forze di guerra degli Stati Uniti di Suffolk-Norfolk (Virginia) è stato sede dal 10 al 15 gennaio 2009 di un’esercitazione militare a cui hanno partecipato alcuni ufficiali del nuovo Comando per le operazioni USA in Africa, Africom, attualmente ospitato a Stoccarda (Germania). Nello specifico, sarebbero stati simulati la mobilitazione e il trasferimento nel continente africano di truppe militari USA per rispondere a tre eventi simultanei: un ciclone che devasta la Tanzania; la minaccia di alcuni “estremisti” di attaccare un gruppo d’ingegneri che lavora alla realizzazione di pozzi d’acqua in Kenya; l’evacuazione dall’Eritrea di cittadini USA e di un paese terzo, per il rischio di un conflitto alla frontiera con l’Etiopia. Elemento chiave della triplice spedizione di guerra in Africa orientale, il Combined Joint Task Force Horn of Africa, la forza di rapido intervento di 2.000 uomini che gli Stati Uniti hanno dislocato nella ex colonia francese di Gibuti.
 
Si fa intanto ancora più caotico il traffico navale militare nelle acque somale. Oltre alla Combined Task Force 151 USA con cui collaborano 14 nazioni alleate, ad una flotta dell’Unione europea a comando greco (“Operazione Atalanta”) ed alle navi inviate da Cina, Russia ed Iran, starebbero per giungere alcune unità del Giappone. Per aggirare le norme costituzionali che sanciscono il carattere meramente difensivo delle forze armate nazionali, il premier Taro Aso, potrebbe dichiarare lo “stato d’emergenza” per la lotta alla pirateria navale.
 
Dal porto di Rota-Cadice (Spagna) è invece salpata per la Somalia la fregata Victoria, che dal prossimo mese di aprile assumerà il comando dell’operazione “Atalanta” dell’Unione Europea. Il governo Zapatero sta valutando con attenzione la possibilità d’imbarcare poliziotti di paesi africani sulle navi da guerra spagnole che pattuglieranno le coste somale. Ad essi verrebbe delegato il “trattamento” diretto delle persone catturate durante gli interventi anti-pirateria. Secondo quanto indicato dalla ministra della difesa Carme Chacon, Spagna e altri paesi europei avrebbero avviato contatti con Kenia, Gibuti e Tanzania per ottenere l’autorizzazione a trasferire le persone catturate in alcune prigioni locali. È in fondo quello che gli Stati Uniti hanno fatto con i prigionieri di guerra di Afghanistan e Iraq, deportandoli in massa nel lager di Guantanamo (Cuba).
 
Il problema di cosa fare con i “pirati” somali è stringente: lo scorso 27 gennaio un elicottero della marina francese ha aperto il fuoco contro i presunti assalitori di una nave battente bandiera maltese in transito nel Golfo di Aden. Il blitz si è concluso con la cattura di 9 persone. Secondo quanto dichiarato dal comando navale francese, negli ultimi mesi le proprie unità avrebbero arrestato 57 pirati. Si sconosce, ad oggi, dove essi siano stati condotti.

Articolo pubblicato in Agoravox.it il 4 febbraio 2009

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