Le zone grigie dell’affaire commerciale di Barcellona PG

Può una società ufficialmente «inattiva» e con zero dipendenti a carico, ottenere in una decina di mesi ciò che non è stato concesso in tre anni ad una S.p.A. con fatturato annuo di 210 milioni di euro, 113 manager e più di 1.000 impiegati? La risposta è sì se ci troviamo a Barcellona Pozzo di Gotto, comune del messinese dove proliferano cosche mafiose e logge massoniche più o meno deviate, e la società in questione è la Dibeca S.a.S. dei congiunti di Rosario Pio Cattafi, un pluripregiudicato già al centro di inquietanti inchieste su criminalità organizzata e traffici di droga e armi.

«Cattafi – come recita un passaggio della relazione di minoranza della Commissione parlamentare antimafia della XIV legislatura, primo firmatario l’on. Giuseppe Lumia - solo nel luglio 2005 ha finito di scontare la misura di prevenzione antimafia della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, irrogatagli nel massimo (cinque anni), per la sua pericolosità, comprovata, secondo quanto si legge nel decreto emesso dal Tribunale di Messina, dai suoi costanti contatti, protrattisi per decenni e particolarmente intensi proprio nella stagione delle stragi, con personaggi del calibro di Benedetto Santapaola, Pietro Rampulla, Angelo Epaminonda (col quale Cattafi relazionò nel lungo periodo di sua permanenza a Milano) e Giuseppe Gullotti (addirittura di quest’ultimo, capomafia barcellonese condannato definitivamente per l’omicidio del giornalista Beppe Alfano, Cattafi, nella migliore delle tradizioni di Cosa Nostra, è stato testimone di nozze)».
 
La vicenda in oggetto vede l’approvazione in tempi record e con voto unanime della maggioranza di centro destra e dell’opposizione Pd-Udc, del piano particolareggiato che consente di trasformare 18,4 ettari di terreni agricoli di contrada Siena in un megaparco commerciale con tanto di «paese albergo», ristoranti e divertifici vari.
 
Un’operazione per svariate centinaia di milioni di euro che la Dibeca della famiglia Cattafi ha ereditato a costo zero dalla “G.d.m. - Grande Distribuzione Meridionale S.p.A.” di Campo Calabro (Reggio Calabria), azienda che gestisce gli ipermercati della francese Carrefour in Calabria e Sicilia più numerosi supermercati dei marchi Quiiper, Dìperdì e Docks market.
 
Nella primavera del 2005, fu proprio la società di Campo Calabro, previa stipula con la Dibeca di un contratto di comodato d’uso e relativa promessa di acquisto dei terreni, ad avviare l’iter per ottenere l’ok del Comune di Barcellona al megaparco commerciale. Il 14 giugno 2006, dieci mesi prima della pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale della Regione Siciliana dell’approvazione del nuovo Piano regolatore generale di Barcellona Pozzo di Gotto che individuava proprio nell’area di contrada Siena la cosiddetta «Zona D.3.2 con destinazione esclusivamente commerciale», la G.d.m. affidava l’elaborazione della planivolumetria del piano, con allegata relazione illustrativa e previsione di massima delle spese, all’architetto Mario Nastasi, professionista che aveva già collaborato alla stesura del Prg di Barcellona.
 
Il lavoro durava all’incirca un anno e nel giugno 2007 il progetto controfirmato da Filippo Leopatri (responsabile dell’Ufficio tecnico e manutenzione della G.d.m.), approdava finalmente in Comune.
 
Sorprendentemente, undici mesi dopo, la società calabrese decideva però di ritirarsi dall’affare multimilionario. A spiegare le ragioni dell’inatteso forfait, l’avvocato Mario Battaglia, legale della G.d.m.. «In base al contratto stipulato nel 2005 con la Dibeca di Barcellona – dichiarava Battaglia - era previsto che l’acquisto dell’area di proprietà Dibeca era subordinato al verificarsi di una serie di condizioni, consistenti nell’ottenimento, entro e non oltre tre anni dalla sua stipula, sia dell’approvazione del progetto di un Centro commerciale con annesso ipermercato, sia del rilascio delle relative concessioni edilizie da parte del Comune, sia dell’autorizzazione amministrativa commerciale per l’apertura di una grande struttura di vendita. Nessuna delle condizioni previste in contratto si è avverata nel termine triennale indicato: da qui il venir meno dell’interesse di G.d.m. all’iniziativa urbanistica. Così, con nota privata del 28 maggio 2008, è stato comunicato alla Dibeca di non dare corso alla stipula dell’atto di acquisto, stante il mancato avveramento nel termine triennale delle condizioni sospensive previste fra le parti, inerenti il mancato perfezionamento degli iter amministrativi previsti dal contratto».
 
Sin troppo frettolosa la decisione della società calabrese. A ben vedere le supposte lungaggini burocratiche a Palazzo Longano potevano benissimo essere imputate ad una serie di eventi “esterni” che avevano causato la paralisi della vita amministrativa.
 
Il 26 giugno 2006, ad esempio, la Prefettura di Messina aveva disposto la costituzione di una commissione per condurre un’ispezione a Barcellona e verificare la sussistenza di presunti condizionamenti criminali nella gestione dell’ente locale. Il 24 luglio successivo la commissione era in grado di presentare una documentata relazione che paventava l’esigenza di scioglimento per mafia degli organi amministrativi. Nella relazione, in particolare, veniva censurato il contratto stipulato dal Comune per l’uso di uno stabile di proprietà della Dibeca di Rosario Cattafi. Si apriva però un estenuante tira e molla tra la il ministero degli Interni, la prefettura e l’amministrazione dell’allora e odierno sindaco Candeloro Nania e, grazie all’azione di pressing del cugino senatore Domenico Nania (al tempo capogruppo al Senato di An) e, probabilmente, di un leader siciliano del Partito democratico ultragarantista, il ministro Giuliano Amato decise alla fine di non apporre la propria firma al decreto di scioglimento.
 
Sindaco e consiglieri barcellonesi poterono concludere regolarmente il loro mandato. Poi, nella primavera del 2007, le elezioni per il rinnovo del consiglio e la costituzione di una nuova giunta, realmente operativi, come sempre accade, solo dopo la pausa estiva.
 
Tolti i tempi tecnici per la stesura del piano particolareggiato e la lunga crisi che ha investito Palazzo Longano, i funzionari dell’ente hanno avuto meno di dieci mesi per visionare tavole ed elaborati. Complessità e vastità del progetto richiedevano ben altre analisi e la G.d.m. avrebbe dovuto mostrare meno ansia e più tolleranza. Il Parco commerciale di Barcellona, con i suoi 184.000 metri quadri di estensione è trentasei volte più grande degli ipermercati con marchio Carrefour che il gruppo gestisce nel sud Italia. Sembrano fatti tutti con lo stampino: spazi espositivi e vendita di 5.000 metri quadri ritagliati nel cuore dei nuovissimi Shopping Center di Reggio Calabria (“Porto Bolaro”), Castrofilippo, Agrigento (“Le Vigne”), San Cataldo, Caltanissetta (“Il Casale”), Modica, Ragusa (“La Fortezza”) e finanche a Milazzo, comune limitrofo a Barcellona Pozzo di Gotto.
 
L’inatteso ritiro della G.d.m. appare forse più comprensibile alla luce di certe dichiarazioni che è possibile leggere sulla stampa locale e che avrebbero meritato maggiore attenzione da parte di consiglieri e forze politiche e sociali.
 
In un articolo apparso il 24 dicembre 2008 sul settimanale Centonove che cita come fonte l’assessore comunale al commercio e all’artigianato in carica dal 2007, Nicola Marzullo, si afferma ad esempio che la società calabrese sarebbe stata condizionata dalla «bocciatura» del piano particolareggiato da parte della commissione edilizia perché «prevedeva la costruzione della megainfrastruttura in un’area di contrada Siena di 18 ettari prettamente agricola». «Il progetto – si legge ancora - sarebbe passato solo con una variante al piano regolatore che avrebbe permesso di trasformare la zona in questione in area commerciale. Ma a Barcellona, come fa notare l’assessore, un area commerciale esiste già: è quella in prossimità dello svincolo autostradale, dove sorgeranno il centro Famila superstore e il supermercato Lidl, ed è perfettamente in grado di ospitare anche un parco di grandi dimensioni. “Il fatto che la G.d.m. non abbia fatto ricorso contro la decisione dell’ufficio tecnico – dice Nicola Marzullo – mi fa pensare che abbia dovuto fare i conti con problemi interni che ne hanno condizionato le strategie”».
 
Sempre nello stesso articolo si spiega che «a certificare questa brusca frenata è anche una relazione redatta dal Comune sullo sviluppo della rete commerciale barcellonese relativo al periodo 1988-2003. Solo una settantina i negozi aperti negli ultimi 15 anni: una crescita minima, pari allo 0,52% annuo, al di sotto della media regionale che, per i comuni con più di 35.000 abitanti, si attesta invece introno al 2%».
 
Vengono delineate infine ben altre priorità di sviluppo da parte dell’assessore comunale competente: «l’approvazione di piani particolari per la creazione di mini-aree commerciali in zone antiche della città come la vecchia pescheria» e la «realizzazione della “zona artigianale”, i cui lotti sono stati assegnati dieci anni fa a ditte che non hanno mai costruito».
 
Ricapitolando, il piano G.d.m. sarebbe stato bocciato dalla commissione edilizia perché ultradimensionato e incompatibile con i piani di sviluppo agricolo e commerciale dell’amministrazione barcellonese.
 
Di fronte a valutazioni così nette, chiunque avrebbe fatto dietrofront. Invece accade il grande colpo di scena: il 5 gennaio 2009, a 12 giorni dalla pubblicazione delle dichiarazioni dell’assessore Marzullo, si fa avanti la Dibeca che presenta al Comune una domanda di cambio di titolarità della richiesta di concessione edilizia per l’identico piano particolareggiato, valendosi di quella che sostiene essere una «continuità soggettiva, atteso che la nuova istanza viene dai proprietari di quei terreni che davano sostanza alla richiesta della G.d.m.».
 
La discesa in campo della famiglia Cattafi muta improvvisamente i pregressi scenari: i primi di agosto la commissione urbanistica approva il piano e il mese successivo giunge l’imprimatur della III commissione consiliare. Il piano approda così in consiglio comunale e, il 16 novembre, con 22 voti favorevoli e un solo astenuto, arriva il sigillo definitivo al megaparco commerciale. Con buona pace della G.d.m. che mai avrebbe creduto al repentino ripensamento di Palazzo Longano e degli antichi proprietari dei terreni di contrada Siena, disfattisi per poche centinaia di migliaia di euro di un’area trasformatasi d’incanto nel pozzo di san Patrizio. 
 
Scelta altrettanto poco felice quella di posizionarsi in un’altra area siciliana ad alta presenza mafiosa, la provincia di Agrigento. A Castrofilippo, lo scorso anno, è stato inaugurato in pompa magna il centro commerciale “Le Vigne”, 110.000 metri quadri di superficie, un centinaio di attività commerciali di grandi, medie e piccole dimensioni e l’immancabile ipermercato Carrefour-G.d.m.. Neanche il tempo di festeggiare che il 5 dicembre 2008, su ordine del Tribunale di Palermo, il megastore di Castrofilippo veniva sottoposto a sequestro preventivo nell’ambito dell’inchiesta sulle operazioni finanziarie “coperte” del boss mafioso Giuseppe Falsone di Campobello di Licata, ritenuto il numero uno di Cosa nostra in provincia di Agrigento e fra i 30 ricercati più pericolosi d’Italia.
 
Stando alle risultanze delle indagini e grazie anche alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Beniamino Di Gati, uomini appartenenti alle cosche locali (tra cui Gerlando Morreale e Calogero Costanza, originari di Favara, e Calogero Di Caro di Canicattì), avrebbero realizzato ingenti investimenti nei lavori edili, partecipando proprio alla progettazione e realizzazione del centro commerciale agrigentino. Una società di Canicattì riconducibile a persone “vicine” a Cosa nostra aveva acquistato i terreni in contrada Cometi, avviando contestualmente le pratiche per la concessione edilizia. Successivamente la società aveva venduto per 4 milioni di euro le autorizzazioni e parte dei terreni alla Sercom di Catanzaro, azienda specializzata nella realizzazione di centri commerciali.
 
Fu la Sercom ad avviare i lavori, a cui, secondo la Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, avrebbero partecipato pure alcune imprese in mano a Costanza, Di Caro e Morreale. Da qui l’ordine di sequestro del centro commerciale poi annullato a fine dicembre 2008 dal Tribunale della libertà per «l’estraneità della Sercom alle indagini dell’inchiesta “Agorà” e del legale rappresentante Rosario Russo, ascoltato solo come “persona informata sui fatti”». Il provvedimento ha consentito la riapertura delle attività de “Le Vigne”, senza ulteriori pregiudizi per gli esercizi commerciali ivi ospitati.
 
Della Sercom di Catanzaro, presente accanto a G.d.m. pure nei centri commerciali siciliani di San Cataldo e Modica, si parla nella già citata relazione prefettizia sul presunto condizionamento mafioso di Barcellona Pozzo di Gotto. «Questa Commissione – vi si legge - ha proceduto in data 30 giugno 2006 all’audizione della dottoressa Sebastiana Caliri, dirigente del VI Settore del Comune deputato alla gestione dei servizi relativi allo sviluppo economico, turismo, fiere e mercati, attività produttive, annona, rapporti comunitari, alloggi popolari, la quale ha dichiarato di aver rigettato una richiesta di licenza alla Sercom S.p.A., per la quale è in corso il provvedimento di diniego, perché non c’è conformità sulla base urbanistica».
 
«A seguito di accertamenti esperiti dall’Arma dei Carabinieri – aggiunge la Commissione prefettizia - sarebbero emerse gravi anomalie nella gestione dell’attività amministrativa di rilascio delle varie tipologie di licenze commerciali». Relativamente alle autorizzazioni comunali per medie e grandi strutture, si cita in particolare quella emessa il 13 giugno 2005 a favore della “G.D.C. Grande Distribuzione Catanese S.p.A.” per uno store in contrada S. Antonio - svincolo autostradale.
 
La “G.D.C.” appartiene all’imprenditore Roberto Abate, titolare del maggiore centro commerciale realizzato sino ad oggi in Sicilia (Etnapolis). Sul potente operatore economico di Paternò, sempre secondo la Commissione d’indagine della Prefettura di Messina, «sono state accertate in Banca Dati Forze di Polizia le seguenti vicissitudini giudiziarie: associazione per delinquere, commercio di sostanze nocive, altri reati contro la salute pubblica nel settore alimentare, in concorso con altre persone; reati commessi con frode; violazioni del T.LL.SS.».
 
Pubblicato il 25 novembre 2009
 
 

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